martedì 17 luglio 2012

AUTOREVERSE seconda puntata


DA FUMETTO E TV AL CINEMA

Fin qui abbiamo trattato di come la narrazione seriale abbia infuso energie nuove a fumetto e telefilm. Ora invece è d'obbligo spendere alcune parole su come questi due media hanno influenzato il cinema.

Dalla serie televisiva al cinema
Per prima cosa ricordiamo solo alcuni casi noti di avventure televisive approdate al cinema. Star Trek (sei serie televisive, la prima nel 1966, e ben undici pellicole cinematografiche, di cui l'ultima nel 2009), fenomeno mediatico con un fandom smisurato; Firefly, serie del 2002, purtroppo di breve durata (quattordici episodi soltanto) approdata al cinema con il film Serenity (2005). In questo caso la qualità spicca sulla quantità, trattandosi di Joss Whedon.

Sex and the City, serie andata in onda dal 1998 al 2004, e due film, del 2008 e del 2010.
Queste menzioni vogliono solo fornire elementi di contesto generale, in quanto su altro si vuole qui brevemente dissertare. Il successo delle serie ha per così dire germinato i film. Nel caso di Star Trek il fascino della fantascienza ha coinvolto una selezionata e numerosa quantità di fan che hanno garantito il successo delle versioni cinematografiche.
Firefly e Serenity, come abbiamo detto, hanno colpito i cultori del genere con un affondo, che pur non avendo generato un fenomeno di massa (l'incasso al botteghino sembra sia andato in pari con i costi), ha conquistato stima notevole nei tempi lunghi6. Sex and the City poi ha compiuto una sorta di ciclo completo passando dal romanzo di Candace Bushnell (1997) alle serie e ai film di cui abbiamo parlato. Le majors americane preferiscono giocare, finché è possibile, sullo zoccolo duro degli aficionados delle serie? Miracoli della globalizzazione.
Ma si può risalire assai indietro nel tempo, alla preistoria di questo fenomeno quando la creatura letteraria di Edgar Rice Burroughs, quel Tarzan, figlio del mito del buon selvaggio di rousseauiana memoria, è saltato di liana in liana dalle pagine di un romanzo (d'appendice appunto, del 1912) al cinema (dal 1918 in poi e fino alla fine del secolo per innumerevoli pellicole) alla televisione (dal 1966 in poi) al fumetto (dal 1929 in poi).

Dalla serie televisiva al fumetto
Vediamo brevemente il fenomeno inverso. True Blood, Supernatural, Chuck, Heroes, Angel, Buffy: da questi telefilm, e da altri, sono germinati altrettanti fumetti, a colmare lacune delle storie principali, costituendo prequel, sequel o linee narrative alternative. Dal bacino dei fan della serie si attinge per continuare la storia, cambiando mezzo. Nel caso di Buffy, lo stesso Joss Whedon, che aveva anche scritto sceneggiature per gli X-Men della Marvel e quindi aveva dimestichezza nell'ambiente, ha visto nel fumetto la possibilità di portare le avventure della Cacciatrice verso scenari potenzialmente illimitati senza limite di costi per gli effetti speciali e altre necessità con cui i budget non eccelsi della serie, finché era in svolgimento, avevano sempre dovuto combattere. Così la storia è potuta continuare e i fan, almeno parzialmente, hanno potuto consolarsi della notevole perdita.

Dal fumetto al cinema

Ora invece guardiamo il fenomeno macroscopico, quello che ha portato i personaggi del fumetto felicemente al cinema. L'elenco è facile e difficile al tempo stesso, perché questi film sono rimasti nell'immaginario e perché sono veramente tanti.
Flash Gordon, Dick Tracy, Superman, persino Asterix, e le creature della Marvel: L'Uomo Ragno, I Fantastici Quattro, Devil, Hulk, Iron Man, gli Avengers (I Vendicatori), Thor.
E' facile ormai raccontare le storie di esseri “superumani” con gli effetti speciali incredibili di quella tecnologia che ha creato anche un film come Avatar (2009), e che sicuramente non si fermerà qui. E' entusiasmante creare una realtà dal nulla, ma, del resto, non lo faceva anche Georges Méliès agli albori della cinematografia? La domanda sul perché così tanti personaggi dei fumetti diventino protagonisti di film al cinema non si esaurisce con il fatto, pur fondamentale, della possibilità e della relativa facilità degli effetti speciali. In fondo la locomotiva7 che sembrava precipitarsi sugli spettatori delle prime proiezioni cinematografiche ai tempi dei fratelli Lumière voleva scuotere, stupire e sconvolgere gli astanti: era il primo effetto speciale.
Torniamo però un po' indietro a quanto detto prima sulla funzione di certi personaggi come Flash Gordon o Capitan America in un periodo come quello fra le due guerre del Novecento in cui le persone avevano bisogno di rassicurazioni. All'epoca emergeva l'esigenza di figure forti, patriottiche, fonti di certezze, paladini senza paura, sintomatico era proprio lo scudo, il simbolo di Capitan America. E quello che si vuole suggerire è proprio che sia il valore simbolico il motivo di questo successo.

Il cinema porta alla ribalta le storie dei fumetti, perché forniscono simboli immediati, coniugati in un sistema semplice. Attraverso i personaggi si accede ad archetipi in cui ci si può riconoscere come simgoli e come gruppo. Per esempio gli X-Men e le minoranze, gli eroi e la paura del diverso. Interessante è infatti la contrapposizione fra il Professor Xavier, mentore degli uomini X e Magneto, il leader dei mutanti malvagi. Tutti insieme costituiscono un gruppo discriminato: il gene mutante li rende diversi e reietti a causa della paura che suscitano, ma Xavier e i suoi vogliono proteggere quegli umani da cui pure sono malvisti, mentre Magneto vuole affermare la superiorità della razza mutante per dominare il mondo. E, significativamente, Magneto porta sul braccio il simbolo della paura della diversità, il numero che gli è stato impresso sul braccio ad Auschwitz. Lui rappresenta la rabbia e la voglia di rivalsa di chi è stato schiacciato ingiustamente. E' ovvio sottolineare come il tema delle minoranze e della loro integrazione o demonizzazione sia sempre alla ribalta, nel mondo anglosassone, ma non solo. La minoranza ebrea, la minoranza nera, la minoranza omosessuale: si può continuare, il fenomeno è sempre quello.
E' interessante e significativo il fatto come Alan Ball abbia trasposto questo stesso concetto nella serie True Blood (2008-in produzione): lì i vampiri, da sempre nascosti e odiati, vengono allo scoperto e chiedono e ottengono il riconoscimento dei loro diritti paritari. E quindi anche qui, come nel fumetto e al cinema, il focus è la scelta morale, la coerenza o la ribellione.
Nel terzo film degli X-Men il bene e il male si combattono nell'intimo della stessa Jean Grey: nella trasposizione cinematografica della saga di Fenice Nera di cui abbiamo già parlato, che in parte rielabora la trama originale, la potenza distruttrice della rabbia e del desiderio istintivo si scatenano nel personaggio, una volta che i blocchi imposti dal prof. X quando Jean era ragazzina si dissolvono. Il dissidio interiore fra la Jean controllata e buona e il suo alter ego malvagio si risolve drammaticamente. Sempre il bene e il male si fronteggiano e a volte il male è dentro di noi. Messaggi antichi. Figure e contesti semplici li veicolano. Le sfumature di grigio con cui dobbiamo fare i conti nell'esistenza concreta, così difficili da riconoscere e gestire, il realismo, in una parola, rimane fuori e noi spettatori ci rilassiamo nella evidenza delle opzioni, ci immedesimiamo o troviamo noiosi i buoni e/o aborriamo o troviamo simpatici i cattivi.

Superman ad esempio è l'eroe che si nasconde nella normalità del nostro quotidiano, dietro gli occhiali, la cravatta e la banalità di un impiego borghese. “La grandezza e la forza che ci sono dentro di me, ometto apparentemente normale, tu mondo non le conosci”, in caso di pericolo via la camicia, fuori la S di Superman e il nemico sarà sistemato, costi quel che costi; la tenacia e il coraggio costeranno quasi la vita, ma dall'umiliazione (quel malvagio di Lex Luthor!) si risorge più forti di prima.

Hulk invece rappresenta l'altra versione della storia del borghese piccolo piccolo: “Se con l'ingiustizia suscitate la mia rabbia, non sapete che cosa potrebbe capitarvi!”. La scienza, nel suo aspetto bifronte di ancora di salvezza e di fonte di tutti i mali, tira fuori (e fa diventare verde!) tutta la rabbia accuratamente repressa e lo scoppio fa tremare i muri. La scienza (con i raggi Gamma o con altre più moderne definizioni), se non la si maneggia con cura, fa venire fuori il mostro che è in noi, proprio come in Stevenson. Oppure...
La scienza ti salva quando sei perduto e ti rende forte, fortissimo: Iron Man, con il suo cuore tecnologico che risolve un grave infarto; un ragno radioattivo ti morde e da timido e perseguitato diventi forte e strafottente. Quest'ultima categoria la si potrebbe catalogare con la rivincita dei Nerd. Nerd Peter Parker e nerd Reed Richards, che da scienziato secchione diventa l'incredibile Mister Fantastic e tutti e due si conquistano l'amore di donne niente male.
La tua debolezza può diventare la tua forza: come per Devil per il quale la cecità diventa un potenziamento dei suoi sensi.
I Vendicatori, come anche gli X-Men, rappresentano i gruppi di guerrieri che difendono il popolo, gli innocenti, la nazione. I Marines americani? La paura di un nemico esterno soverchiante e come demonizzato genera il bisogno di essere difesi da chi incarni l'idea di una potenza superiore.
Temi semplici, ma temi forti. Soprattutto temi ricorrenti che rappresentano simbolicamente paure, necessità, desideri condivisi: la paura del diverso e il desiderio di essere accettati, la popolarità contro l'essere nerd, la debolezza che diventa forza, la paura dell'invasività della scienza e il desiderio che risolva tutti i problemi, la costanza e la tenacia dell'uomo che vince contro lo strapotere dell'ingiustizia. Questi sono miti8. I miti che sempre vengono rappresentati nelle storie che amiamo, ma che trovano negli eroi dei fumetti una rappresentazione stilizzata, semplice, immediata. Una rappresentazione però che si presta a possibili approfondimenti, e dunque può essere fruita a vari livelli. La tesi è dunque che i personaggi dei fumetti, che arrivano attraverso il cinema al grande pubblico, siano i moderni miti, quelli del mondo globalizzato. Anche se, in effetti, anche i miti antichi erano i riferimenti accettati dalla gente comune del mondo globalizzato della koinè greca e poi di quella romana. Eracle, Ermes, Zeus, Edipo, Cassandra, Efesto, Achille e Ulisse. Guerrieri indomiti (Eracle come Capitan America); re potentissimi e altezzosi (Zeus come il Galactus dei Fantastici Quattro); uomini e donne perseguitati dalla sorte o dai propri stessi doni (Edipo e Cassandra come il Punitore o Destiny, la compagna di Mistica); Titani indomabili (Prometeo come Wolverine); veloci e intelligenti messaggeri (Ermes come Silver Surfer); eroi invulnerabili con qualche tallone debole (Achille come Iron Man); eroi furbi con il gusto dell'intelligenza (Ulisse come l'Uomo Ragno). Potremmo continuare, i Trecento Spartani che hanno salvato il mondo greco a costo della vita come i gruppi di eroi (X-Men, Vendicatori, appunto) disposti a tutto per la propria missione; uomini saggi, mentori di eroi: Il Professor X come Chirone, il centauro istitutore di Achille (entrambi, guarda caso, con un potenziamento supplementare agli arti). Nomi che esprimono categorie immediatamente catalogabili per un mondo e per l'altro, grumi del pensiero che favoriscono inquadramento e giudizio.
I miti dei fumetti favoriscono l'identificazione culturale, costituiscono una lingua franca comune, almeno al livello superficiale della cultura occidentale globalizzata. Niente di troppo difficile, ma passibile di valenze più complesse.
Per questo, fra altri motivi più immediati (effetti speciali, spettacolarità, attori di grido), forse i film con i personaggi del fumetto sono proposti frequentemente ed hanno successo abbastanza sicuro.
Sarebbe interessante elaborare un giudizio di valore su questi miti, chiedersi da quale società provengono, verso quali traguardi di civiltà si dirigano e in che misura siano manipolati dal potere o scaturiscano dalla base, ma sicuramente non è questa la sede per questo approfondimento.

ASPETTI ESTETICI DAL FUMETTO AL CINEMA

L'ultimo argomento che si vuole trattare è uno specifico portato del fumetto al cinema: un certo linguaggio narrativo per immagini, una certa stilizzazione, non distinti, come finalità, dalla mitizzazione di cui si è parlato prima.
Solo alcuni esempi di questo fenomeno si vogliono qui riportare: Dick Tracy, Ultraviolet, Wolfman, 300.
Questi film presentano un'accentuazione estetica, un modo di trattare i colori, le inquadrature, i ritmi in modo che citano volutamente quelli del fumetto. Di Dick Tracy9, film vincitore di tre premi Oscar nel 1990 per la migliore scenografia, miglior canzone e miglior trucco, si dovrebbe dire molto: è un film visionario fortemente voluto da Warren Beatty, che precorre di molto i tempi, tanto da non conseguire, all'epoca dell'uscita nelle sale cinematografiche, tutto il successo che avrebbe meritato. Il personaggio di Dick Tracy risaliva agli anni Trenta dai comics di Chester Gould.
Beatty chiamò molti colleghi attori famosi a partecipare; Al Pacino, Dustin Hoffmann, Madonna, rappresentarono i gangster, gli sgherri e la pupa del boss contro cui l'integerrimo poliziotto combatteva, ma la caratteristica che balzò di più all'attenzione degli spettatori fu l'esagerata caratterizzazione dei personaggi: il trucco esasperato riproduceva l'elaborazione caricaturistica del tratto dei disegnatori del fumetto, in una voluta ridondanza. Anche le ambientazioni, soprattutto le immagini della città, quasi sempre rappresentata di notte, alludono ad una dimensione irrealistica e sono a metà fra le quinte teatrali e le tavole a colori puri dei fumetti. Il blu, il verde, il rosso delle strade bagnate dalla pioggia, delle case nell'oscurità simbolo del malaffare imperante fanno da sfondo agli inseguimenti fra guardie e ladri, con le prospettive deformate degli scenari dei comics, mentre il giallo solare del cappello e dell'impermeabile di Tracy sono la lama incorruttibile dell'integrità del detective. Il film in questo caso cita l'immagine del fumetto, il suo stile, anche ovviamente perché proviene da un fumetto. Quindi l'estetica dei comics passa in una pellicola cinematografica come valore aggiunto.

Ultraviolet di Kurt Wimmer del 2006 invece non proviene da un fumetto, eppure, attraverso l'elaborazione digitale delle immagini, gli sfondi, i movimenti degli attori, di Milla Jovovich soprattutto, le inquadrature, i colori optical, giocati sul contrasto e su simmetrie geometriche, i simboli, la forma stessa della città, tutto ricorda la libera fantasia dei cartoonist, le tavole dei fumetti.
Persino la frangia della bellissima Jovovich assomiglia a quelle delle donne dei fumetti, Mary Jane Watson, all'epoca solo amica di Peter Parker/Uomo Ragno, nei disegni del leggendario John Romita. I movimenti resi possibili dalle notevoli coreografie e dagli effetti speciali vogliono evitare il realismo, tendono alla stilizzazione simbolica, alla perfezione sintetica dei parti della mente che non deve fare i conti con i pesi costrittivi del realismo.
Nei due casi sopra citati stiamo parlando di due film che non hanno riscosso un successo unanime, sia l'uno che l'altro sono stati accusati di vari difetti. Warren Beatty in Dick Tracy sembrava coinvolto dalla fissità dell'espressione del personaggio cartaceo, in entrambi i casi la trama e l'approfondimento dei personaggi e della storia sono stati sacrificati alle trovate innovative ed estetiche. Ciò non toglie che la contaminazione fra i due media ci sia, anzi forse proprio lo sguardo allo stile del fumetto ha generato le distorsioni, per una difficoltà a trovare l'equilibrio fra i due linguaggi peculiari.

Gli altri due casi che si vuole trattare sono Wolfman (2010) e 300 (2006).
Il primo meriterebbe una più ampia trattazione per i suoi legami con i B-movie e con l'originale di George Waggner del '41 con il celebre Lon Chaney Jr, qui vogliamo solo sottolineare come un film, legato all'origine a originali cinematografici, usi il linguaggio del fumetto, in un prestito vicendevole peraltro, per ottenere effetti emotivi specifici in chi guarda. Chi ama e frequenta il fumetto li riconosce, chi invece non ha familiarità con questo mezzo non perde nulla. E' ovvio che il cinema citi le altre arti visive: chi conosce i dipinti di Caspar David Friedrich li riconosce in certe inquadrature di Orgoglio e pregiudizio (2005), ma le atmosfere nebbiose dell'inseguimento finale, la silhouette della protagonista femminile tutta giocata sui toni scuri che ricordano l'inchiostrazione delle tavole dei fumetti, la stessa inquadratura della mano-zampa del mostro in primo piano con, sullo sfondo, il luogo dove sta per arrivare e che avrebbe ragione di temerlo, fanno pensare alle inquadrature caricate di pathos di un certo tipo di fumetti. Simbolo e mito, in un gioco di richiami che contano su una specie di imprinting nello spettatore, producono atmosfere ad alto impatto visivo ed emozionale che vogliono essere calligrafiche fino al manierismo.

Concludiamo con 300 di Zack Snyder. Qui il legame è chiaro poiché il film vuole trasporre la graphic novel del 1998 di Frank Miller e la tecnica sofisticata, usata per rimanere aderenti il più possibile alla forza e all'espressività dei disegni del grande Miller e contemporaneamente esaltare la dinamicità del movimento, soprattutto delle preponderanti scene di battaglia, consente di arrivare al top della coniugazione dei due linguaggi. Il realismo è definitivamente abbandonato, insieme all'attendibilità storica peraltro, che è volutamente messa da parte, e l'effetto è notevole. Ritroviamo qui, nei personaggi degli Efori, astoricamente rappresentati come mostruosi, la caricaturizzazione esasperata di certi personaggi di Dick Tracy, la fotografia con i chiaroscuri imita la profondità delle chine, le inquadrature mirano ognuna alla perfezione e alla potenza dell'immagine propria delle tavole. Gli scenari spogli e poveri di particolari ricordano gli sfondi nudi dei riquadri del fumetto utili a mettere in risalto gli elementi essenziali dell'oggetto o del personaggio rappresentato. Ogni immagine è ritoccata e perfezionata in studio per ottenere l'effetto, sostanzialmente, dell'epica, del mito, della lontananza dalla realtà e dell'esaltazione ideale della storia rappresentata.

Conclusioni
Quali conclusioni potremmo trarre da quanto detto finora? Abbiamo cercato di documentare la tesi di una reciproca influenza fra i media, di un “passaggio” di contenuti e forme espressive fra fumetto, televisione e cinema, sostenendo che la serialità, infondendosi come per osmosi da un mezzo all'altro, sviluppando storie più coinvolgenti e complesse, risponde a un bisogno e svolge una funzione che non è estranea al ruolo stesso della narrazione e quindi della letteratura. E la dialettica fra letteratura alta e letteratura popolare, che costituisce certo un capitolo importante fra le tematiche che ci interrogano in questa società complessa e globalizzata, deve cedere il passo di fronte all'esistenza di una mole ingente di messaggi e di feedback che vanno indagati e spiegati, anche perché influenzano e toccano davvero tante persone. Anche il fenomeno dei social network e dei tanti siti e blog dedicati ai fumetti, ai telefilm e ai libri, che mostrano tante riflessioni e dialoghi che mettono a tema passaggi o avvenimenti della fiction dimostra che per noi rispecchiarci nelle storie è vitale. Come afferma Lorenzo Carpanè “la scrittura letteraria, ha come scopo quello di dare ordine alla vita umana”, così dialogare con le vicende e le storie di un “tu” fittizio ma probabile ci mette in relazione con noi stessi e con le nostre propensioni e scelte, ci facilita una razionalizzazione e un giudizio nel migliore dei casi, quantomeno favorisce un riconoscimento attraverso la simbolizzazione del mito e attraverso il rispecchiamento. Ci mette in movimento comunque e ciò è bene in quanto ci pone nella condizione di “accettare e riconoscere che è dal dialogo, continuo ed initerrotto, che nasce la nostra identità, che non è fissa, ma mobile ed in continua evoluzione”10.
Parlando invece delle forme espressive che si travasano dall'uno all'altro media, poi, si potrebbe concludere che, qualunque esse siano, sempre contengono le concettualizzazioni della civiltà che le esprime e la contaminazione, nel contenuto e nell'estetica, è una notevole risorsa, feconda di sempre nuove e stimolanti esplorazioni.

1 Capire il Fumetto - L'arte invisibile, Torino, Vittorio Pavesio Editore, p. 13
2Gli spettacoli teatrali, inseriti nella cornice religiosa, avevano il fine di intrattenere i cittadini, ma anche di indottrinarli, come dimostra la fase finale della trilogia dell'Orestea, quando l'assoluzione di Oreste da parte del tribunale dell'Areopago vuole sottolineare il potere supremo delle istituzioni cittadine al di sopra della costrizione ancestrale delle Furie, che perseguitavano Oreste per l'uccisione della madre.
4La Divina Commedia non è ovviamente un romanzo, essendo in rima, ma svolge la funzione dei romanzi di formazione in quanto, come forse in nessuna altra opera più chiaramente, Dante passa da una condizione di incertezza (il buio della selva oscura) a una di esaltante consapevolezza di sé e della realtà (la luce del rapporto fra lui e Dio) attraverso un difficile percorso educativo.
6Da Wikipedia [http://it.wikipedia.org/wiki/Serenity_(film)]: Nel marzo 2007 un sondaggio online del sito della rivista britannica SFX ha inaspettatamente collocato Serenity come migliore film di fantascienza della storia, davanti a titoli decisamente più blasonati quali Guerre Stellari, Blade Runner o 2001: Odissea nello spazio. Pur non avendo il sondaggio alcun valore statistico, la notizia ha suscitato un certo clamore, conquistando spazio su alcuni dei più importanti quotidiani internazionali e, di conseguenza, proiettando verso l'alto le vendite del DVD del film. Cfr. anche: http://www.fantascienza.com/magazine/notizie/9254/serenity-miglior-film-notizia-del-secolo/
8A questo punto sarebbe necessaria una definizione di mito. Premettendo che l'argomento imporrebbe un approfondimento maggiore, rimandiamo a una voce sufficientemente esaustiva reperibile in retehttp://www.riflessioni.it/enciclopedia/mito.htm dalla quale abbiamo tratto la seguente affermazione espunta dal Trattato di storia delle religioni (1949) di Mircea Eliade, che può risultare esplicativa in relazione all'accezione in cui qui si intende il mito: “la funzione principale del mito è quella di fissare i modelli esemplari di tutti i riti e di tutte le azioni umane significative, in modo da fornire loro un modello extratemporale e astorico ogni volta che si tratta di «fare qualcosa» di per sé inaccessibile all'apprendimento empirico-razionale”.
10http://cird.unive.it/dspace/handle/123456789/901 Lorenzo Carpanè, in Didattica della LetteraturaPer sconfiggere la Medusa: funzioni della letteratura (lezione di sintesi).



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